Carnevale Romano
Anche se estinto da oltre un secolo, il Carnevale Romano occupa un posto di rilievo fra le tradizioni popolari più importanti della città. Consisteva in una colossale festa pubblica della durata di otto giorni, che si chiudeva la notte del Martedì Grasso, con l'avvento della Quaresima. In realtà i festeggiamenti cominciavano undici giorni prima, di sabato, ma il venerdì e la domenica erano vietate le corse e le mascherate, così i giorni effettivi si riducevano a otto.
L'importanza della festa per i romani veniva accresciuta dal fatto che solo durante questo breve periodo era consentita la trasgressione di alcune rigide disposizioni in materia di ordine pubblico, in gran parte basate su codici religiosi.
I tutori dell'ordine erano inflessibili a farle rispettare nel resto dell'anno, e in particolare durante l'imminente Quaresima, quando persino le commedie a teatro erano proibite per non turbare lo spirito pasquale
Il primo luogo dei festeggiamenti del Carnevale Romano fu piazza Navona, allora platea in Agone, dove sin dal medioevo si svolgevano tauromachie e tornei di cavalieri consistenti nel colpire un bersaglio rotante (un saracino) oppure infilzare un anello con una lancia.
Verso la metà del '400 i festeggiamenti cambiarono sede per ordine di papa Paolo II, che essendo veneziano colse l'occasione per valorizzare il suo Palazzo Venezia appena costruito, ovviamente in piazza Venezia, a ridosso della basilica di S.Marco (quando si dice la mancanza di casa!).
Come teatro delle feste carnascialesche fu scelta l'adiacente via del Corso, allora ancora chiamata via Lata (periferia nord della Roma rinascimentale), che ancor prima, in epoca romana, era stata il tratto urbano della via Flaminia.
Di giorno erano in molti a travestirsi. Dopo il tramonto era ancora lecito farlo, ma senza indossare maschere sul volto, per motivi di pubblica sicurezza; tali maschere, di cera o cartapesta, erano così popolari da costituire per i venditori una vera nicchia di mercato, per tutta la durata del Carnevale. Persino preti, frati e monache facevano baldoria, anche se nell'ambito dei rispettivi conventi (non in strada); erano ammessi musica, balli, pranzi sontuosi, e anche qualche innocente travestimento.
L'evento più atteso era la Corsa dei Barberi, cioè dei cavalli berberi, una razza non molto alta ma muscolosa; questa aveva sostituito nel favore popolare la corsa ormai vietata degli storpi.
Si ripeteva ben otto volte, quanti erano i giorni di feste, e si svolgeva poco prima del tramonto.